venerdì 13 settembre 2013

Ilva, quando la proprietà è davvero un furto

La propriete c'est le vol. La proprietà è furto. Lo disse Pierre Proudhon oltre 170 anni fa e per questo venne quasi crocifisso dalla mentalità piccolo borghese che si sentiva attaccata nei suoi piccoli patrimoni immobiliari, nelle sue piccole cose, nella piccola roba accumulata in anni di lavoro sempre e comunque sottopagato. Il filosofo francese non intendeva puntare il dito contro le due camere e cucina acquistate col mutuo, ma contro la proprietà dei mezzi di produzione, concentrata nelle mani di pochi e, quella sì, frutto dei furti ai danni del popolo e della classe lavoratrice. 
Da un po' di mesi in Italia è diventato eclatante il caso dell'Ilva, ex azienda pubblica svenduta ai privati. Emilio Riva, che l'ha acquistata, negli anni cinquanta aveva una società che commercializzava rottami di ferro destinati alle acciaierie. La sua abilità nel frequentare gli ambienti politici lo ha portato a pagare l'Ilva di Taranto, un'azienda disastrata nei conti, ma di dimensioni gigantesche e dotata di impianti capaci di rendere profitti colossali, solo 1.460 miliardi delle vecchie lire nel 1995, quando al governo c'era il "rospo" Lamberto Dini, naturalmente appoggiato dalla solita sinistra di lotta e di inciucio, e alla guida del Comitato per le privatizzazioni siedeva quell'altro gran genio di Mario Draghi
L'investimento si è ripagò nel giro di un solo anno di gestione, visto che la fabbrica cominciò a macinare utili al ritmo di 100 miliardi di lire al mese, facendo diventare Riva, un padrone all'antica, unico proprietario e azionista, il terzo produttore d'Europa di laminati piani , con 17.500 dipendenti e altri due impianti a Genova e Novi Ligure. La famiglia del patriarca, da allora, incassa soldi a palate: fra il 2005 e il 2008, ad esempio, il gruppo ha guadagnato 2,56 miliardi di profitti al netto delle tasse e nel 2011 il patrimonio netto di gruppo è di 4216,66 milioni.
Peccato che la fabbrica di Taranto abbia provocato la morte di centinaia di persone, che ci hanno messo molti anni a veder riconosciuto il danno, nonostante il risanamento ambientale fosse stato chiesto dalle autorità competenti giù all'epoca della privatizzazione. 
E' anche così che si fanno i soldi in Italia. Nel 1975 Riva era già finito in carcere per omicidio colposo, perché nella sua prima fabbrica c'era stato un incidente sul lavoro. “Finché non esco, la fabbrica resta chiusa e senza lavoro”, disse col piglio del padrùn che lo ha sempre contraddistinto. 
Oggi è di nuovo agli arresti, dopo una lunga battaglia legale, sempre per omicidio colposo. Praticamente uno stragista. Che ha fatto i soldi mangiandosi quelli destinati a trasformare la fabbrica. Inseguito dai sequestri - sacrosanti - decretati dalla magistratura, l'ex rubivecchi milanese continua in una lunga opera di ricatti e tira e molla. Memorabili le considerazioni del Commissario nominato dal governo, Enrico Nosferatu Bondi, secondo il quale l'alta incidenza di tumori a Taranto è colpa delle cattivi abitudini degli abitanti che sarebbero tutti dei gran fumatori.
Ieri ha annunciato la chiusura di tutte le fabbriche extra Ilva, mandando a casa in un sol colpo 1.400 dipendenti. 
Qualunque paese civile e realmente garante del mercato avrebbe avviato la nazionalizzazione. Perfino gli Stati Uniti. Da noi, gli industriali di solito gli assassini li applaudono. E a parlare di cose normali si rischia di essere bollati come comunisti. 
La proprietà è furto. E la politica è sempre complice.


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