venerdì 22 novembre 2013

Privatizzazioni, il governo sempre a difesa degli interessi dei più forti

Un governo di vecchi non poteva che partorire ricette con ingredienti scaduti. E' il caso della nuova trovata delle privatizzazioni, che l'ultrasettantenne Fabrizio Saccomanni è finalmente riuscito a mettere nel piatto delle leggi dell'esecutivo di cui fa parte. L'omino dei conti era ossessionato da tempo da questo mantra, molto gettonato negli anni ottanta e novanta, e - ovviamente - fallito, da noi come in tanti altri paesi (chiedete a un britannico che ne pensa della privatizzazione delle ferrovie). Prima di lui, a fare carne di porco, ci aveva pensato l'attuale presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, responsabile della più grande svendita di Stato del nostro paese.  Tra il 1993 e i primi mesi del 2001 in Italia sono state effettuate cessioni al mercato di quote di aziende pubbliche per circa 234.800 miliardi di lire, riguardanti importanti aziende di proprietà del Ministero del Tesoro (Telecom, Seat, Ina, Imi, Eni, Enel, Mediocredito Centrale, Bnl), dell’Iri (Finmeccanica, Aeroporti di Roma, Cofiri, Autostrade, Comit, Credit, Ilva, Stet), dell’Eni (Enichem, Saipem, Nuovo Pignone), dell’Efim, degli altri enti a controllo pubblico (Istituto Bancario S. Paolo di Torino e Banca Monte dei Paschi di Siena) e degli enti pubblici locali (Acea, Aem, Amga). Una pacchia per i futuri datori di lavoro di Draghi, la Goldman Sachs.

 
Francesco Cossiga, che di poteri forti se ne intendeva, qualche anno dopo definì Draghi "un vile affarista", "il liquidatore delle aziende pubbliche", ricordando la banca d'affari per cui aveva lavorato (la GS è l'allegra combriccola di signori incravattati che ha messo quasi in mutande gli Stati Uniti) e il famoso ricevimento del 2 giugno del 1992 sul panfilo Britannia, di proprietà della Regina Elisabetta, dove più grandi banchieri anglo-americani discussero con la controparte italiana della vendita delle aziende di Stato. 
Le privatizzazioni dell'epoca, oltre a fornire molti meno introiti del previsto allo Stato (come sarà anche in questo caso), furono anche un efficace strumento per la riduzione della forza lavoro. Basta pensare ai posti "bruciati" in aziende come le Poste, le Autostrade, la Telecom, le Ferrovie, in cambio di un servizio molto peggiore. Nel più puro stile del capitalismo vecchia maniera, si sono socializzate le perdite e gli ammortizzatori per far fuori un po' di gente e si sono privatizzati gli utili. 
Nel 1992 la politica era nel caos per l'esplosione di Tangentopoli e la fine (apparente) di un sistema alla cui greppia si erano sfamati un po' tutti. Oggi, che si vive una situazione molto simile, arriva Saccomanni, un altro virgulto della Bocconi con una missione ben precisa: difendere ancora una volta il totem del "meno stato più impresa", grazie al quale la politica economica del più forte ha mantenuto il potere.

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