venerdì 11 ottobre 2013

Alitalia: Totò, Peppino e la banda degli onesti

Di fronte all'ennesimo salvataggio pubblico di interessi privati, c'è qualcuno che insorge sostenendo che l'intervento dello Stato non deve essere mai giustificato. Autorevoli commentatori che scrivono su giornali nei quali contribuiscono al perenne rosso economico (costano carissimi e non li legge nessuno) o ricoprono cariche elettive decise da una segreteria di partito, si dicono convinti che il capitalismo non vada disturbato, quando brucia decine di migliaia di posti di lavoro. E pazienza per coloro che restano senza stipendio: è il mercato, bellezze.
Poi uno guarda l'azionariato dell'Alitalia privatizzata e ci riconosce subito il marchio della commedia all'italiana.
Il socio più grosso è Air France-Klm, che ha il 25%, ma non decide nulla sulla gestione e giustamente non vuole ripianare i debiti dell'azienda. Poi ci sono i Riva, la famiglia più inseguita dalla giustizia italiana, il cui 10,6% è stato sequestrato dalla magistratura.
Segue un'altra famiglia, quella dei Benetton (8,9%), i progressisti che contendono le terre agli indios Mapuche in Patagonia, che delocalizzano la produzione senza stare a badare troppo per il sottile, come in Bangladesh e che guadagnano miliardi di euro anche da un'altra privatizzazione, quella della società Autostrade, ex gallina dalle uova d'oro dell'Iri. Qui sono stati degli autentici geni: dopo che a fine anni novanta i costi per la realizzazione della rete autostradale (risalente agli anni settanta) furono ammortizzati, la società Autostrade è stata privatizzata all’inizio del 2000 ad un prezzo che rapportato ai chilometri gestiti equivale a due milioni e ottocentomila euro per chilometro, quando per fare nuove tratte occorre almeno dieci volte tanto. I nuovi concessionari incassano (abbiamo i pedaggi fra i più alti d'Europa), non investono e tagliano posti di lavoro, nel puro stile del managerismo italiano che annovera ancora fra i suoi modelli i padroni delle ferriere. 
Ma non basta. dentro Alitalia c'è anche Intesa San Paolo (8,9%), una delle banche più zavorrate dai debiti, la Immsi di Roberto Colaninno (l'uomo che ha affossato Telecom), Carlo Toto (che ha fatto fallire AirOne), la famiglia Angelucci, gli editori di Libero che si occupano di sanità privata al centro di numerose inchieste e scandali,  la Fondiaria-Sai (compagnia di assicurazione trascinata a fondo dalla famiglia Ligresti). E poi l'Acqua Marcia di Francesco Bellavista Caltagirone, arrestato recentemente per frode, la famiglia Gavio (nota per i suoi rapporti intimi con esponenti politici di tutti i colori) e la Pirelli di Marco Tronchetti Provera, il re Mida al contrario dell'economia italiana. 
Naturalmente per questa gente il mercato non conta. Si resta a galla anche di fronte ai disastri più clamorosi. Il conto lo pagano i lavoratori, con buona pace degli economisti della Bocconi

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