lunedì 6 maggio 2013

Andreotti, simbolo dell'ineluttabilità e della malvagità della ragion di Stato

Stavolta lo seppelliranno per davvero. Chissà se porteranno mai alla luce la "scatola nera" che nascondeva nella gobba, come disse una volta Beppe Grillo, chissà se qualcuna delle verità che ha sempre tenuto perniciosamente nascosta verrà mai a galla, magari dai tanti faldoni che compongono il suo immenso archivio, chissà se nell'al di là in cui credeva ci saranno i demoni ad attenderlo con il forcone. 
Quello che è certo è che, malgrado il diluvio di dichiarazioni formali che ne ricordano la sua figura di statista, nessuno (a parte pochissime eccezioni) sottolineerà quanto la sua ragion di Stato sia costata carissima a questo paese. 
Giulio Andreotti è stato il paradigma vivente dell'anormalità della democrazia italiana, perpetuando all'infinito un potere che si è schiantato solamente grazie alla magistratura ed è poi risorto ai giorni nostri sotto mille nuove forme (non è un caso che l'attuale Presidente del Consiglio sia una specie di ammiratore incondizionato del suo illustre predecessore). 

Ineluttabile e malvagio, come è sempre il potere quando si manifesta, Andreotti nel mondo dei fumetti dei supereroi sarebbe stato un perfetto "antagonista". Ha iniziato la sua carriera come sottosegretario alla Cultura, su raccomandazione del futuro papa Paolo VI,  approvando subito una bella legge sulla censura che riportava il paese qualche anno indietro, ai tempi del fascismo, e poi è stato coinvolto in tutte le storie più sporche che hanno riguardato la nostra disgraziata nazione, come la collusione con la mafia almeno fino alla fine degli anni ottanta (per la quale non è stato mai assolto, ma solo prescritto, grazie alle leggi di Berlusconi), l'accusa che più o meno tutti conoscono. Ma i suoi atti censurabili riguardarono la P2, alla quale fornì sotto banco le carte del tentativo di golpe da parte dell'estrema destra, il pulcinellesco Piano Solo, prima che venissero distrutte; la strage di Piazza Fontana, mentre da ministro della Difesa garantiva le coperture istituzionali a uno degli indagati per l'attentato, Guido Giannettini, stipendiato dai servizi segreti militari; il rapimento di Aldo Moro, con il memoriale di quest'ultimo che gli riservava giudizi pesantissimi e soprattutto la copertura dell'organizzazione Gladio; l'omicidio del giornalista Mino Pecorelli, che fu ucciso poco prima di pubblicare notizie compromettenti (accusa per la quale è stato condannato a 24 anni in Appello per poi vedersi cancellare la condanna in Cassazione, ma che proveniva da uno dei collaboratori di mafia più attendibili, Tommaso Buscetta).
Potremmo star qui fino a domani a elencare gli episodi che hanno visto questo singolare personaggio, che in un paese normale avrebbe finito i suoi giorni in galera, rimestare nel fango. Potremmo elencare tutta la lunga schiera dei suoi fedelissimi, dai mafiosi siciliani Salvo Lima e Vito Ciancimino, agli affaristi romani Franco Evangelisti e Vittorio Sbardella detto "lo squalo", agli amici napoletani come Paolo Cirino Pomicino e quelli che conservava e probabilmente teneva per le palle al di là delle mura vaticane. Si potrebbe anche ironizzare sul fatto che in molti ripetono la barzelletta secondo la quale almeno lui non si sarebbe messo i soldi in tasca, a differenza dei suoi amici del CAF (Forlani e Craxi), perché non funziona molto neanche quella, visto che si è saputo da tempo che il divo Giulio aveva come tanti politici un conto "segreto" presso lo Ior. Si potrebbero ricordare i numerosi giudici diffamati o il povero avvocato Giorgio Ambrosoli, definito di recente "uno che se l'era andata a cercare" e smentire il luogo comune secondo il quale era un uomo di spirito, perché alle sue battute ridevano solo i giornalisti che gli facevano da codazzo (un fiume in piena).
Ma che senso avrebbe? 
E' stato tenuto tutto abilmente nascosto, nel nome dell'ineluttabilità e della malvagità della ragion di Stato. Un ossimoro, perché lo Stato non è mai ragionevole. Qui da noi uccide e poi nasconde le carte.

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