martedì 4 marzo 2014

L'Oscar a Sorrentino: quanto ci piace vincere facile

L'Oscar a Paolo Sorrentino è stato salutato dal consueto coro di gente abituata di mestiere a salire sul carro del vincitore. Particolarmente patetica l'esultanza del neo ministro della Cultura, Dario Franceschini, e davvero ridicoli i titoli di alcuni giornali di destra, convinti che il peggior nemico di Sorrentino sia la sinistra radical-chic, orrido mostro a più teste evocato ogni volta che i trinariciuti sono costretti a parlare di cultura, che notoriamente non frequentano, non perché sono degli ignoranti cresciuti a pane e intrattenimento Mediaset, ma perché "c'è l'egemonia della sinistra".
Ora a parte il fatto che il film a mio giudizio era davvero una palla insopportabile, oltre che una terribile pippa intellettuale senza alcun significato, devo dire che la vittoria agli Oscar è stata davvero facile facile. In concorso con "La grande bellezza" c'erano infatti, udite udite, un film palestinese che non sarebbe mai stato scelto dagli americani notoriamente filoisraeliani, un film danese che parla di due genitori impegnati per salvare una figlia malata (una delle trame più sfruttate del cinema in genere) e - capolavoro finale - un documentario cambogiano sui Khmer Rossi. 
Chi volevate che premiassero i nostri amici cow-boy se non la rappresentazione a loro uso e consumo della solita italietta di arruffoni, ladri e spaghetti e mandolino? Sorrentino ha vinto da solo. E ha ringraziato Maradona, Scorsese e i Talking Heads (poveretti), invece di ringraziare Silvio, che il film lo ha prodotto con i suoi soldi. 
Ingrato.

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