giovedì 25 luglio 2013

A Bergoglio piacciono i narcos, la Dea e i cartelli ringraziano

I narcos latinoamericani che uccidono più della peste e l'antidroga statunitense che ha speso oltre mille miliardi di dollari negli ultimi 40 anni senza alcun risultato da oggi possono contare su un alleato in più, il papa pampero Josè Bergoglio. Il Pontefice si è espresso molto chiaramente contro la liberalizzazione delle droghe in un discorso zeppo di retorica pronunciato ai tossici di Rio (gente che ancora si fa respirando la calce, perché i soldi per comprarsi la coca o l'eroina non ce li ha e che quindi della liberalizzazione se ne frega altamente) e il significato delle sue affermazioni, in quel Continente soprattutto, assume un significato sfacciatamente politico.
Dopo decenni di pugno di ferro imposto ai governi di quasi tutti gli Stati, che Washington controllava più o meno direttamente, il vento è cambiato. Quasi tutti i paesi del Centro e Sudamerica oggi hanno amministrazioni di sinistra e spesso al governo, come in Brasile o Nicaragua, si trova gente che ha combattuto contro militari al soldo della CIA. Il proibizionismo imposto dallo zio Sam, che per ironia della sorte rappresenta il primo mercato mondiale per gli stupefacenti, è stato ampiamente messo in discussione perfino in Guatemala, dove il presidente è ancora sostenuto dagli Usa.

 
In questi posti sono stanchi di vedere la gente morire come in guerra (solo in Messico negli ultimi sei anni ci sono state 50 mila vittime per crimini legati al narcotraffico), di spendere vagonate di soldi che potrebbero essere investiti in progetti socialmente utili, di consentire a bande organizzate senza pietà di trarre profitti indecenti solo per "servire" i consumatori a stelle e strisce. 
Del resto, è stata la Dea (Drug Enforcement Agency) a creare, chissà quanto involontariamente, i cartelli della droga, quando negli anni settanta ha distrutto i campi dei coltivatori di papaveri da oppio nello stato messicano di Sinaloa. La reazione dei coltivatori infatti è stata quella di riformarsi in una singola, potente organizzazione, detta La Federación, dividendo il Messico in territori per il contrabbando di droga. "Quello che era nato come un fenomeno locale divenne un fenomeno nazionale. Cercando di asportare il cancro, ne abbiamo diffuso le metastasi in tutto l’organismo", ha commentato Don Wislow, autore di un bel libro sul traffico di droga, "Le belve".
Gli Stati Uniti totalizzano sono solo il 5% della popolazione mondiale, ma consumano il 25 per cento delle droghe illecite nel mondo e mentre il governo americano spende cifre che non potrebbe permettersi (15,1 miliardi di dollari nel bilancio 2012), ma che neanche Obama avrà mai il coraggio di tagliare o ridurre, nel tentativo di impedire alle droghe di entrare nel paese, i suoi cittadini si rovinano economicamente per fare l’esatto contrario. 
Più proibizionismo, lo capiscono anche i bambini, significa un prezzo più alto per le droghe. Più è alto il prezzo, maggiori sono i profitti dei trafficanti, maggiori sono le violenze per spartirsi la torta, peggiore il "prodotto" sul mercato con gravi rischi per i "consumatori" a causa degli spregiudicati sistemi con i quali si taglia la droga.
La "guerra alla droga" viene combattuta proprio per essere persa, in particolare al di là dell'Oceano. Chi ci guadagna in tutto questo è chiarissimo. E oggi, dalla sua parte, può contare anche sul Papa. 
Un colpaccio. 

Nessun commento:

Posta un commento